Bunker antiaereo un passato che (forse) ritorna

“Immaginate una bomba uscire dalla pancia di un aereo. Immaginate il peso, la velocità ed il rumore dell’aria mentre si raddrizza sopra la città. Le case che si fanno sempre più distinte. Più grandi. Si iniziano a vedere i particolari delle vie, i lampioni, le macchine. Persone che corrono via a cercare riparo. Il suono della sirena. Tutto sempre più grande fino all’urto, lo sfasciare delle tegole, l’irrompere nella vita del signore dell’ultimo piano, sfondare il pavimento ed entrare nell’appartamento di quello col cane che abbaia tutto il giorno. E giù ancora, in casa di quelli che cucinano speziato a tutte le ore, scendere nel vostro salotto e poi in quello che si lamenta dei vostri orari, dei tacchi in casa… ed ancora più un paio di piani, fino ad esplodere. E se noi siamo qui racchiusi in un rifugio antiaereo, forse, saremmo salvi”?.

Così Andrea Di Betta, dell’Associazione Nazionale Combattenti Forze Armate Regolari Guerra di Liberazione, ci spiega i primi rudimenti della protezione antiaerea di Parma e lo scopo istituzionale delle visite. Il 25 aprile è certamente la Festa della Liberazione – anche se la guerra in Italia finì una settimana dopo – ma è anche l’anniversario del primo bombardamento americano della città. L’idea della bomba che attraversa le case e le vite dei parmigiani è il percorso di recupero delle memore “minori” della Seconda Guerra Mondiale. Ed un rifugio antiaereo è proprio il luogo naturale per difendere le diverse vicende, personali e nazionali, che ci hanno portato sino ad oggi, a godere di quasi ottanta anni di pace. Ma all’epoca ogni solaio che divideva i piani di un palazzo era una difesa in più, una corazzatura, contro i bombardamenti alleati; per questo motivo i ricoveri più importanti della città sono nei palazzi più maestosi, dal punto di vista architettonico, come la Pilotta, Palazzo Medioli, il complesso monumentale di San Paolo ed il Monastero di San Giovanni  e Palazzo dell’Agricoltore.

I rifugi antiaerei cittadini sono in buona parte recuperi di spazi interrati preesistenti, tranne appunto quelli in abitazioni civili recenti – quindi costruiti proprio con quella destinazione, con criteri tecnologici moderni, dopo l’introduzione del Testo Unico dell’Urbanistica nel 1936; locali e scantinati poco adeguati alla guerra aerea, tanto che nel pieno della Guerra Fredda, furono quasi nella totalità dismessi.

Altra problematica, tipica della Pianura Padana, è la superficialità di questi particolari manufatti difensivi: infatti, superata la profondità di 4 metri, a Parma si intercetta l’acqua di falda che allaga ogni spazio disponibile, rendendolo inagibile. Anche per questo fatto e per la penuria di spazi edificabili all’interno del centro urbano, si preferì un riadattamento dei locali preesistenti, vista la quasi immediata disponibilità a soddisfare l’economia di guerra.

Ed a distanza di anni, questo ci consente di poter aprire ,letteralmente, le porte della Storia e coinvolgere il pubblico che diventa protagonista, con l’intrecciare delle loro storie di famiglie alla grandi vicende della Guerra di Liberazione.

La storia ci impone di non dimenticare quello che è successo e le tante persone che hanno perso la vita per la libertà. I rifugi antiaerei erano luoghi in cui si correva al suono delle sirene, per cercare di salvarsi la vita o almeno si sperava.  non potremmo mai immaginare quello che provavano quelle persone dentro ai rifugi dove stavano per ore o per giorni (un viaggio fotografico che dovrebbe essere solo un percorso culturale).

Auguriamoci che questo percorso fotografico possa rappresentare soltanto una testimonianza delle brutture della guerra, un ricordo che sia sempre più lontano da noi.

Le fotografie sono state fatte in alcuni rifugi antiaereo ancora accessibili, i rifugi sul territorio di Parma erano 44.

 

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