Pompei, la casa di Elle e Frisso: il letto sbarrato e l’ultima resistenza contro il Vesuvio

Un letto capovolto a bloccare la porta, come estremo tentativo di protezione contro l’avanzare dei lapilli. I resti di almeno quattro persone, tra cui un bambino. Oggetti di uso quotidiano, amuleti, vasellame. Sono queste le immagini riemerse dagli scavi della cosiddetta casa di Elle e Frisso, lungo via del Vesuvio a Pompei, che raccontano, con una potenza silenziosa, gli ultimi istanti di vita durante l’eruzione del 79 d.C.

L’abitazione, denominata così per un affresco mitologico raffigurante i due celebri fratelli della tradizione greca, è venuta alla luce grazie a recenti interventi di scavo legati al consolidamento dei fronti perimetrali tra le aree scavate e quelle ancora interrate, e ai lavori per la messa in sicurezza idrogeologica. La casa, adiacente a quella di Leda e il Cigno, scoperta nel 2018, sarà presto accessibile al pubblico dopo un accurato restauro.

Gli ambienti portati alla luce comprendono l’ingresso, un atrio con impluvium, una camera da letto (cubiculum), il triclinio con pareti riccamente affrescate, e un vano dotato di tettoia con apertura centrale per la raccolta dell’acqua piovana. Proprio da quest’ultima si sarebbero infiltrati i lapilli, che hanno spinto gli abitanti a rifugiarsi in una stanza interna, barricandosi con un letto. Il calco del mobile è stato realizzato versando gesso nei vuoti lasciati nella cenere dalla decomposizione del legno, restituendone fedelmente la forma.

Tra i resti umani, anche quelli di un bambino, probabilmente identificabile grazie al ritrovamento di una bulla in bronzo – l’amuleto protettivo indossato dai maschi fino all’età adulta. Accanto a loro, una serie di oggetti: anfore stipate in un sottoscala adibito a dispensa, alcune delle quali usate per contenere il garum, la famosa salsa di pesce, e un set in bronzo per il servizio da tavola, composto da brocche, coppe e vasi.

Alcuni indizi – come le soglie rimosse, l’assenza di decorazioni in alcune stanze e tagli nella muratura – suggeriscono che la casa fosse in fase di ristrutturazione al momento dell’eruzione. Eppure, gli abitanti avevano scelto di restare, forse sperando di poter concludere i lavori e continuare la loro vita. Invece, li ha colti la morte.

«Scavare a Pompei – commenta Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico – significa confrontarsi con la bellezza, ma anche con la fragilità dell’esistenza. In questa casa decorata con eleganza, abbiamo trovato le tracce di chi ha cercato disperatamente di salvarsi. Ma alla fine la corrente piroclastica non ha lasciato scampo. Un inferno che ancora oggi si racconta attraverso ciò che è rimasto».

L’affresco che dà il nome alla casa raffigura Frisso in sella al montone dal vello d’oro, mentre la sorella Elle, in procinto di annegare, tende la mano in un ultimo gesto disperato. Un mito che nella Pompei del I secolo non aveva più solo valore religioso, ma rappresentava anche un simbolo estetico e culturale, segno dello status dei proprietari. E che oggi, in un tragico gioco di specchi, riecheggia la sorte reale degli abitanti di quella dimora: una fuga mai compiuta, una fine impressa nella cenere.

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